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Egitto, la necropoli di Tebe

La necropoli dell’antica Tebe, sulla riva occidentale del Nilo di fronte a Luxor, è uno dei siti meglio noti e più visitati dell’Egitto. Dalle sue tombe provengono molti degli oggetti che oggi ammiriamo nei musei di tutto il mondo. Pochi sanno, tuttavia, che la gran maggioranza di essi fu rinvenuta in un settore a nord della necropoli, oggi desolato e quasi privo di attrazioni, che fu il terreno privilegiato della grande caccia alle antichità svoltasi nei primi decenni del XIX secolo: Dra Abu el–Naga. È qui che è situata la concessione di scavo dell’Università di Pisa a Tebe ovest (Luxor), finanziata dal Ministero Affari Esteri e dall’Ateneo stesso.

Veduta di Tebe ovest dall’alto

Veduta di Tebe ovest dall’alto

Punto focale dell’area concessa dal Supreme Council of Egyptian Antiquities alla missione pisana è stato inizialmente una tomba rupestre dipinta, la Tomba Tebana 14 (TT 14), la cui indagine archeologica, tuttora in corso, è stata intrapresa dal 2003. Nell’ottobre 2004 un nuovo ipogeo è stato portato alla luce, allargando la concessione originale: fino alla scoperta, esso era del tutto ignoto agli studiosi, seppellito com’era, da tempo, sotto un’ingente massa di detriti che ne riempiva, quasi interamente, anche l’interno. La tomba, oggi denominata con la sigla M.I.D.A.N. 05, dall’acronimo della missione (Missione Italiana a Dra Abu el–Naga), è formata da una grande corte tagliata parzialmente nella roccia, ancora in fase di scavo, da una serie di ambienti ipogei che si addentrano nella montagna tebana e dal settore funerario vero e proprio, situato a diversi livelli sotterranei e articolato in pozzi e camere. Molti elementi e la stessa articolazione planimetrica di questo ipogeo non rientrano completamente nella tradizione canonica dell’architettura funeraria tebana. In parte, questo appare essere il risultato delle alterazioni che si sono susseguite nel tempo, trasformando il disegno originario; altri elementi fanno però pensare che la sua eterodossia rappresenti uno dei primi tentativi di elaborazione del nuovo modello che di lì a poco si affermerà – la classica tomba tebana a T rovesciata del Nuovo Regno – a partire dalla tradizione architettonica precedente.

Le due figure di Huy sul soffitto di TT 14

Le due figure di Huy sul soffitto di TT 14

Fino all’ultima campagna di scavo solo pochi frammenti di decorazione parietale erano stati rinvenuti in situ, per lo più sui soffitti, il che aveva fatto a lungo ritenere che la tomba fosse stata abbandonata ancora prima di essere completata. La sorprendente scoperta di una scena di metallurgia parzialmente conservata, avvenuta nello scorso anno, lascia invece presupporre che anticamente la tomba fosse interamente rivestita da pitture policrome che ne decoravano le sale interne, con i soffitti che si stendevano come stuoie multicolori dipinte a motivi geometrici e le pareti magicamente animate da un brulicare di scene di vita quotidiana. Solo poche e prestigiose tombe della necropoli tebana hanno scene di metallurgia, il che fa presupporre che MIDAN.05 appartenesse ad un alto funzionario. Sul soffitto della sala trasversa rimangono ancora, qua e là, poche tracce di un’iscrizione geroglifica, che doveva originariamente riportarne il nome. Uno dei problemi ancora aperti, a cui si spera di dare presto risposta con la continuazione degli scavi, è infatti a chi appartenesse questo grande ipogeo. Tra i nomi riportati sugli oggetti iscritti, frammentari o integri – parti di sarcofagi e statuette, coni funerari, amuleti, servitori funerari (ushabti) – trovati finora nella tomba, nessuno può essere attribuito con certezza al suo primo proprietario. Nomi e oggetti aiutano nondimeno a scrivere la storia della tomba e dei suoi occupanti: essa infatti continuò ad essere in uso a lungo dopo il primo utilizzo, tramandando cosė le tracce delle credenze e dei costumi di una società evolutasi nel tempo. Il nome di colui che per primo fece approntare per sé l’ipogeo sarà forse rivelato quando, sfogliando a ritroso le pagine di storia stratificatesi in esso, si arriverà infine sul fondo dell’ampia corte che precede l’ipogeo. Qui potrebbero trovarsi, caduti dalla facciata, i cosiddetti “coni funerari” in terracotta, che spesso ne decoravano la sommità e recavano iscritto il nome del proprietario, o i resti degli stipiti iscritti della porta d’accesso.

Quanto la missione dell’Università di Pisa è riuscita a ricostruire finora promette comunque di cambiare significativamente le conoscenze sulla storia di Tebe nel periodo tormentato ma vitale che precedette il fiorire delle grandi dinastie regali del Nuovo Regno, a partire dal 1500 a.C. Le ultime due campagne, in particolare, hanno chiarito come MIDAN.05 sia più antica di quanto si ritenesse in un primo tempo e sia stata scavata e decorata almeno a partire dalla fine della XVII dinastia, all’incirca dunque tra 1600 e 1500 a.C.: in una delle camere scoperte in fondo ad un pozzo funerario rinvenuto in uno degli ambienti interni alla tomba, sono stati infatti ritrovati una miriade di piccoli frammenti in stucco dipinti, che, dopo una lunga e paziente analisi, si sono rivelati i resti di una particolare tipologia di sarcofago. Si tratta di sarcofagi antropoidi decorati con un motivo variopinto a piume di avvoltoio, chiamati nell’egittologia moderna sarcofagi rishi, termine preso in prestito dall’arabo, che vuol dire, per l’appunto, “piumato”. Questi sarcofagi, piuttosto rari e poco noti, rappresentano un elemento di datazione molto preciso.

Maschera funeraria femminile in gesso dipinto, con frammenti della parrucca

Maschera funeraria femminile in gesso dipinto, con frammenti della parrucca

Furono infatti in uso in quel periodo oscuro della storia egiziana noto come Secondo Periodo Intermedio, quando l’Egitto era ancora diviso e i principi tebani si preparavano a guidare la rivolta contro gli Hyksos – sovrani stranieri di origine canaanea – e a riconquistare e riunificare sotto di sé l’intero paese. Molto poco si conosce di quei re guerrieri tebani, fondatori della XVII dinastia, meno ancora dei nobili e funzionari che vissero in quel periodo: fu probabilmente uno di loro a scegliere come propria “dimora dell’eternitā” il complesso funerario che la missione pisana sta riportando alla luce. Non può dunque stupire la localizzazione della tomba ai piedi della collina principale di Dra Abu el–Naga, a poca distanza dalle sepolture dei re della XVII dinastia e dei loro antenati. Proprio questa parte della necropoli tebana, nei primi anni dell’Ottocento, aveva restituito miracolosamente intatti i sarcofagi dorati di tre re della XVII dinastia (conservati al British Museum e al Louvre) e il meraviglioso tesoro della regina Ahhotep, che oggi si può ammirare nel Museo del Cairo. Nella stessa area si sta cercando la tomba, di ancora incerta identificazione, di uno dei più amati faraoni della storia egiziana, Amenofi I (1514-1493 a.C.), ultimo discendente della stirpe di re guerrieri della XVII dinastia, in seguito divinizzato.

Nei secoli successivi, altre tombe furono ricavate nella roccia che fiancheggiava la corte del grande ipogeo. Alla fine del lungo regno di Ramses II (1279–1213 a.C.), un sacerdote addetto al culto di quello stesso re Amenofi I scavò per sé e per la sua famiglia un piccolo ipogeo sul lato sud della corte di M.I.D.A.N.05. Questa piccola tomba è appunto la Tomba Tebana 14 appartenuta al sacerdote Huy, da cui iniziò la nostra esplorazione archeologica dell’area nel 2003. I risultati delle prime sette campagne di scavo sono appena stati pubblicati dalla PLUS (Betrò, Del Vesco, Miniaci, Seven seasons at Dra abu el–Naga. The tomb of Huy (TT 14): preliminary results, 2009), un volume selezionato tra quelli che hanno partecipato al bando indetto dall’Ateneo per i migliori lavori monografici di ricerca prodotti da suoi docenti e ricercatori.

L’esistenza di questa seconda tomba era già nota agli studiosi almeno dal 1909, quando iniziò il censimento topografico della necropoli tebana. Tra 1909 e 1912 furono esaminate e registrate tutte le tombe allora note con pitture ed iscrizioni in buone condizioni, a cui fu assegnata una numerazione progressiva preceduta dalla sigla TT (“Theban Tomb”). L’ipogeo di Huy era tra loro, dal momento che, per quanto piccolo, ancora conservava la decorazione originale e meritava perciò un’adeguata protezione: le “TT” furono infatti dotate di porte di ferro, per impedire l’accesso agli estranei e salvaguardarle per quanto possibile. Nonostante l’ipogeo fosse noto e fosse stato visitato dagli egittologi dei primi anni del secolo scorso, non esisteva tuttavia, prima delle ricerche effettuate dalla missione pisana, una documentazione scientifica della struttura funeraria, che mai era stata esplorata oltre la prima camera dipinta, né un rilievo completo delle scene e dei testi di tale decorazione pittorica.

Set di amuleti funerari da MIDAN. 05

Set di amuleti funerari da MIDAN. 05

Le pareti di questo primo ambiente, che rappresentava la cappella in cui i parenti potevano recarsi per svolgere i rituali di offerta e preghiera dedicati al defunto, sono leggermente curve e raccordate da angoli molto arrotondati. Il perimetro ricorda così il segno ovale del cartiglio, tradizionalmente impiegato per racchiudere e “proteggere” il nome dei sovrani, e la decorazione può svolgersi quasi senza soluzione di continuità come fosse raffigurata su un grande papiro spiegato sulle pareti della tomba. L’analisi attenta delle pitture ha permesso di attribuire nomi e titoli ad Huy, proprietario della tomba, e ai suoi familiari e di identificare alcune scene che rivestono particolare interesse per lo studio dei culti religiosi popolari diffusi a Tebe durante l’epoca Ramesside. In esse sono rappresentate, infatti, le processioni svolte in onore delle statue del re divinizzato Amenofi I e di sua madre Ahmosi Nefertari, con lo stesso Huy tra gli officianti. Tali processioni erano l’occasione per la richiesta di oracoli, sia per questioni personali che per vere e proprie sentenze in occasione di faccende legali. Altra raffigurazione importante, finora non attestata altrove, è quella che mostra la tomba del faraone divinizzato Amenofi I, ancora più interessante se si pensa che tale tomba non è ancora stata identificata con certezza dagli egittologi.

Sul lato meridionale del primo ambiente si apre una porta che dà accesso agli ambienti funerari veri e propri e che doveva essere stata originariamente murata e dipinta per dissimularne la presenza e rendere inaccessibile il luogo di sepoltura del defunto. L’esplorazione sistematica del settore funerario ha permesso di ricostruire il ramificato sviluppo planimetrico della struttura e la complessa sequenza di interventi architettonici occorsi durante la lunga storia di utilizzo e riutilizzo dell’ipogeo. Qui, come in MIDAN.05, tutti gli ambienti erano quasi completamente ostruiti da una enorme massa di deposito fangoso derivante dal peculiare fenomeno delle periodiche e ripetute alluvioni di origine temporalesca. Questa area della necropoli infatti è situata non lontano dal punto dove sfocia uno wadi, la stretta valle anticamente scavata nella roccia da un torrente ormai scomparso, che funge da collettore delle acque piovane del deserto. Piogge rare ma violente e dagli effetti devastanti hanno periodicamente e ripetutamente riversato mari di fango e di detriti all’interno delle tombe, travolgendo e trascinando con sé quanto incontravano sul loro cammino e, ovviamente, deteriorando, spesso irreparabilmente, il materiale organico deposto come corredo funerario, fra cui i sarcofagi, le statuine funerarie o le cassette in legno.

Lettino votivo in terracotta dipinta, da TT 14

Lettino votivo in terracotta dipinta, da TT 14

Oggi sappiamo che dalla prima camera dipinta si passava in un ristretto ambiente voltato e dotato di una nicchia che forse ospitava una piccola stele, che dava accesso a sua volta ad uno stretto e tortuoso passaggio in discesa; dopo circa otto metri, si giungeva alla camera funeraria vera e propria. Durante l’ultima campagna di scavo l’esplorazione si è spinta fino ad individuare la sommità degli stipiti in pietra della porta che dovrebbe dare accesso a questa camera; in base ai dati in nostro possesso tale ambiente non risulta essere mai stato raggiunto dalle attivitā di saccheggio ottocentesche, che tanta parte hanno avuto nella irreparabile distruzione dei contesti archeologici delle tombe tebane.

Varie altre diramazioni furono poi scavate a partire dal passaggio originario nelle successive epoche di riutilizzo della tomba. Una di esse venne occupata da una serie di sarcofagi decorati (oggi ridotti in frammenti consumati dall’acqua e dal fango), che contenevano mummie rivestite da splendidi involucri e maschere di gesso dipinto con colori accesi; il loro corredo funerario includeva oggetti cultuali in terracotta databili al Terzo Periodo Intermedio (1069–664 a.C.). Un’altra diramazione conduce verso camere ancora inesplorate di cui si ignora attualmente il contenuto, mentre un ulteriore passaggio collega il settore funerario di TT 14 con una piccola tomba secondaria costituita da un unico ambiente e con il vicino e ben più vasto ipogeo MIDAN.05, scoperto dalla missione pisana nell’ottobre del 2004.

Pianta delle due tombe rupestri TT 14 e MIDAN. 05

Pianta delle due tombe rupestri TT 14 e MIDAN. 05

Il complesso contesto archeologico rappresentato dalle due strutture ipogee finora indagate comporta problematiche diverse – dalle metodologie di scavo a quelle di documentazione, analisi e interpretazione dei dati, fino a quelle di conservazione – che richiedono necessariamente competenze differenziate: l’équipe che lavora a Dra Abu el–Naga comprende dunque non solo egittologi ma anche ceramologi, antropologi, restauratori, etc. e si avvale, laddove occorrano, di collaborazioni e sinergie specialistiche, sia nell’Ateneo pisano che fuori: così lo studio delle resine organiche è stato effettuato grazie a Perla Colombini e i suoi collaboratori del dipartimento di Chimica; Paolo E. Tomei (Dipartimento di Agronomia) studia i resti botanici; Massimo Masetti (dipartimento di Biologia) ha prestato alla missione le sue competenze di entomologo; in Egitto, l’accordo quadro firmato dall’Ateneo con il CULTNAT (Center for Documentation of Cultural and Natural Heritage), permetterà, nella prossima campagna di scavo, di effettuare un nuovo rilievo tridimensionale con laser scanner delle pareti dipinte di TT 14, allo scopo di monitorarne lo stato di conservazione rispetto alla precedente scansione del 2005. Quest’ultima era stata portata a termine da ricercatori dell’Istituto di Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del CNR di Montelibretti (Roma) nell’ambito di un progetto FIRB, conclusosi di recente, “Tecnologie Integrate di Robotica ed Ambienti Virtuali in Archeologia” che ha visto la fruttuosa collaborazione, oltre che con il CNR, con la Scuola Sant’Anna (laboratorio PERCRO, Massimo Bergamasco). Obiettivo del progetto è stata la realizzazione di un museo virtuale interattivo per la fruizione di reperti archeologici “digitalizzati” e per la visualizzazione in tempo reale di siti archeologici: la tomba di Huy è stata uno dei tre siti virtuali realizzati, insieme al tempio di Medinet Madi in Egitto e alla città di Sumhuram in Oman.

La molteplicità delle problematiche e l’integrazione delle metodologie e tecniche coinvolte nello studio dell’area rendono il sito di scavo un laboratorio ideale per la formazione degli studenti più avanzati e, in particolare, dei dottorandi di Egittologia, che prendono parte attivamente alla ricerca e alle relative pubblicazioni.

Marilina Betrò, Paolo Del Vesco e Gianluca Miniaci

betro@sta.unipi.it