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La psicologia di Bruner

Jerome Seymour Bruner, il “professor Jerry”, che nella conferenza tenuta in Sapienza il 5 luglio scorso ha incantato una folla di giovani e meno giovani studiosi, è nato a New York nel 1915. In più occasioni, durante il suo soggiorno a Pisa, ha incontrato in modoinformale gruppi di insegnanti di vari ordini di scuola e ricercatori universitari, testimoniando la sua grande capacità di rivolgersi non solo a colleghi psicologi, ma anche ad interlocutori di diverso livello e dai molteplici interessi culturali. Pur senza sottovalutare il suo lavoro come psicologo dello sviluppo interessato anche a problemi psicopedagogici(1); questo contributo intende illustrare il ruolo di Bruner come teorico del Cognitivismo e come protagonista della odierna psicologia culturale, seguendo la traccia da lui stesso indicata nell’autobiografia intellettuale. Si vuole quindi dar rilievo all’ampiezza degli interessi dell’autore, testimoniata dal suo percorso di ricerca e a proposito della quale egli stesso scrive: “Somiglio più a una volpe che a un porcospino”(2).

Il professor Bruner

Il professor Bruner

Affetto da cataratta congenita e operato nell’infanzia, Bruner suggerisce che proprio questa circostanza potrebbe avergli conferito l’insaziabile curiosità del bambino che riceve solo a due anni il dono della vista. Orfano di padre a 12 anni e costretto a cambiare numerose scuole dai continui spostamenti della madre, l’autore sviluppò in quegli anni, durante i soggiorni estivi in Florida, la sua passione per il mare e le barche, una passione che coltiva tutt’oggi con le gite in canoa nei fiumi irlandesi e che lo portò nel 1972, quando fu chiamato ad Oxford, ad attraversare l’Atlantico in barca a vela per prendere possesso della sua cattedra.

Di questo studioso di fama internazionale, notissimo agli operatori scolastici per i contributi offerti alla comprensione dello sviluppo infantile, ci è sembratoopportuno fornire ad un più largo pubblico questa bibliografia ragionata, che traccia le linee di un’attività di ricerca iniziata già nel corso universitario alla Duke University, dove si laureò in Psicologia nel 1938, e durante gli anni della specializzazione ad Harvard.

Già nella prima fase del suo lavoro, che utilizza le metodiche del Comportamentismo dominante, il giovane Bruner rivelava la sua propensione a superare il paradigma imperante, prendendo esempio da Tolman, precursore del Cognitivismo, che dimostrò la presenza, nei ratti, della mappa cognitiva del labirinto “contrabbandandola pecora della coscienza in una teoria dell’apprendimento sotto le spoglie del lupo comportamentistico”(3). Per studiare il pensiero ed essere presi sul serio, era necessario camuffarlo un po’ e lo stesso Bruner rilegge in questo modo i suoi esperimenti comportamentistici con il senno di poi.

L’autore racconta di aver anticipato il costrutto di Learned Helplessness, battezzato da Seligman solo alla fine degli anni Sessanta, in un progetto teso a modificare l’atteggiamento dei ratti verso la punizione, insegnandogli a rassegnarsi allo shock, una ricerca su come l’esperienza possa alterare in una certa misura il significato del rinforzo negativo, e commenta: “credo d’essere stato un cognitivista ‘precoce’!”(4).L’autore ritrova in questi inizi del suo lavoro il presagio dell’importanza, da lui sostenuta in seguito, di consentire a tutti i bambini nel corso dello sviluppoesperienze di successo.

Si può ricollegare questo originario motivo di impegno sociale di Bruner ad uno dei più famosi esperimenti che condusse nel periodo del New Look on Perception, nel secondo dopoguerra, quando un gruppo di studiosi cambiarono l’approccio alla percezione focalizzando la personalità del percipiente, le sue motivazioni, emozioni e valori come fonte di aspettative sulla realtà. Gli autori(5) chiesero ad un gruppo di studenti di 10 anni, metà appartenenti ad una classe socio–economica elevata e l’altra metà provenienti da famiglie umili, di indovinare le dimensioni di monete in corso legale eguagliandone il diametro con una macchia di luce proiettata. L’esperimento ebbe grande successo di stampa, ne parlarono molti giornali, perché non solo i bambini sopravvalutarono la grandezza delle monete, tanto più quanto maggiore era il loro valore, ma i bambini poveri sovrastimavano la grandezza delle monete di valoremaggiore più di quelli ricchi. Come in un romanzo di Faulkner, Intruder in the dust, nel quale mezzo dollaro sembra al ragazzo una ruota di carro, ci ricordaBruner nell’Autobiografia mescolando in modo caratteristico scienza e letteratura, ma notando anche che l’esperimento risulta fragile perché è possibile annullare l’effetto se ci si concentra sulle dimensioni degli stimoli. Al di là dell’impatto mediatico di questi risultati dickensiani, l’aspetto innovativo della ricerca, in senso cognitivista, è l’attribuzione a stati interni anziché a stimoli esterni del controllo del comportamento, che viene realizzata in pieno nei lavori successivi. Bruner è riconosciuto come uno dei principali esponenti della rivoluzione cognitivista in psicologia e poi della “rivoluzione contestuale”, che ha rifondato una psicologia culturale capace di dialogare con la prospettiva evoluzionistica della biologia moderna. L’immagine dell’uomo psicologico che propone è un’immagine integrata delle “facoltà” della psicologia generale, è l’uomo totale, il soggetto che conosce il mondo e se stesso, i cui processi cognitivi e affettivomotivazionali vengono visti funzionare tutti insieme, come accade nella realtà quotidiana: giocando con le parole, dice che la mente umana “persenpensa” (perfink), per indicare l’unitarietà di percezione (perception), emozione (feeling) e pensiero (thinking).

Negli anni Cinquanta Bruner si è dedicato alla ricerca sulla percezione del New Look, effettuando una serie di esperimenti che sono risultati in qualchemodo trasgressivi, sia rispetto alla concezione della percezione dal basso verso l’alto vigente allŠepoca, sia sul piano metodologico.

Uno di questi è l’esperimento delle carte truccate(6) nel quale vengono presentati ai soggetti stimoli “anomali”, che violano l’aspettativa circa la regola dei colori dei semi in base alla quale sono costruite le carte da gioco. Con tempi di esposizione molto bassi i soggetti identificavano le carte di picche di colore rosso come carte normali, facendole rientrare entro le categorie concettuali predisposte dall’esperienza precedente.

Il professor Bruner durante una relazione

Il professor Bruner a destra della foto

L’esperimento venne usato da Thomas Kuhn come una sorta di “prototipo metaforico” della sua idea sui paradigmi della scienza che vengono modificatiquando non sono più in grado di assimilare nuove evidenze e anomalie emergenti. Secondo Kuhn l’esperimento “fornisce un meraviglioso modello, semplice econvincente, del processo della scoperta scientifica; (…) la novità emerge soltanto con difficoltà, che si manifesta attraverso la resistenza, in contrasto con un sottofondo costituito dall’aspettazione. All’inizio si percepisce soltanto ciò che ci si aspetta e che è usuale, persino in circostanzenelle quali più tardi l’anomalia viene a essere rilevata”(7). Poi la presa di coscienza che c’è qualcosa di sbagliato produce riadattamento e la scoperta è compiuta. Allo stesso modo nell’esperimento di Bruner e Postman, mentre alcuni soggetti non riuscivano mai a vedere l’anomalia, coloro che arrivarono al riconoscimento corretto delle carte anomale si accorsero prima che “c’era qualcosa di sbagliato“ senza identificare “cosa”, proprio come gli scienziati sensibili all’anomalia e capaci di coglierla come occasione per cambiare il paradigma. La “scienza normale” tende a sopprimerele novità, ma è efficace nel farle nascere perché “l’anomalia è visibile solo sullo sfondo costituito dal paradigma”(8), cioè dal modello vigente di quella scienza, con le sue apparecchiature e raffinatezze tecniche e concettuali, e la resistenza del modello precedente garantisce controuna resa troppo facile.

copertina del libro Actual Minds, Possible Worlds

Era troppo presto perché la comunità scientifica riuscisse ad assimilare un altro esperimento, particolarmente eterodosso perché viola una delle regole basilari del metodo scientifico: la standardizzazione delle condizioni sperimentali. Del lavoro di Bruner e Postman(9) sulla selettività emotiva fu ispiratore Jungcon il suo studio sull’associazione di parole e la misurazione del tempo di latenza. Bruner e Postman sottoposero un gruppo di studenti all’ascolto di unaserie di parole di cinque lettere, alcune delle quali potenzialmente ansiogene per studenti universitari, parole come crime, bitch, anger. Per ciascun soggetto furonoselezionati tre gruppi di sei parole: quelle che avevano prodotto la reazione associativa più lenta, la più rapida e la latenza intermedia. Dopo qualche settimana gli sperimentatori presentarono al tachistoscopio a ciascuno studente le diciotto parole selezionate per lui, con il risultato che le parole conflittuali venivanoriconosciute o con grande rapidità o con forte ritardo. La soglia visiva di riconoscimento poteva comunque per lo più essere prevista in base alla latenzadell’associazione. Gli autori arrivarono dunque a teorizzare due modalità di risposta, quella “vigilante” legata al riconoscimento rapido e quella “difensiva”, caratterizzata dal ritardo nella lettura. L’ipotesi della difesa percettiva sarà ripresa più tardi nella ricerca psicologica.Erdelyi(10) nota che l’attacco al New Look divenne particolarmente violento proprio in occasione della pubblicazione di questo esperimento, che tentava unaoperazionalizzazione nientemeno che del concetto psicoanalitico di difesa, anticipando quello che diventerà vent’anni dopo l’inconscio cognitivo.

Solo nel clima già in via di mutamento degli anni Cinquanta Bruner si concede di affrontare direttamente la mente e nel suo libro del 1956, A study of thinking(11) con il concetto di strategia riammette i processi mentali nella ricerca psicologica. Questa è considerata la prima opera che supera il Comportamentismo dominantenella psicologia statunitense ed inaugura l’indirizzo cognitivistico. A Bruner interessa studiare la sequenza dei passi intrapresi da soggetti che stanno eseguendo un compito che li obbliga a pensare. La strategia mentale guida le operazioni dell’intelligenza, in una serie di operazioni di elaborazione dell’informazione, in vista dello scopo finale di soluzione del problema: individuare un concetto, costituito da una combinazione di attributi (forma, colore e numero), scegliendo un esemplare alla volta e ricevendo il feedback informativo circa la sua appartenenza alla categoria. La ricerca usa un materiale non significativo che somiglia al gioco del Master Mind,ma già in un prezioso capitolo del libro compare una variante con materiale tematico: il compito diventa cioè quello di indovinare la combinazione di attributirelativi allo scenario canonico del bambino che riceve un regalo da un adulto e la prestazione cognitiva peggiora perché risponde a una “logica della verosimiglianza” e riavvicina l’esperimento al contesto della vita quotidiana.

Uno dei pregi più apprezzati di Bruner è quello di saper cogliere le nuove tendenze e spesso di anticiparle assimilandone gli aspetti più vivi in una nuova sintesi, con una sensibilità ai cambiamenti del clima culturale che trae ispirazione dall’opera di altri autori.

Copertina del libro Making Stories

Con la fondazione del Center for cognitive studies di Harvard nel 1960, Bruner stringe i contatti con A. Lurija, lo “zar” della psicologia sovietica, e in un volume sullo sviluppo cognitivo(12) dedicato a J. Piaget, che raccoglie anche ricerche transculturali, mostra la sua vicinanza ad un importantissimo autore precocemente scomparso, il russo L.S. Vygotskij. In questa fase di transizione, Bruner si esprime sulla creatività e sulla mano sinistra(13) raccogliendo scritti “letterari” e sulla psicoanalisi, sotto un titolo che richiamava la moda nascente delle funzioni dei due emisferi cerebrali. Riprendendo da Vygotskij l’idea dell’importanza degli strumenti nello sviluppo filogenetico e ontogenetico umano, Bruner studia nel bambino piccolo lo sviluppo della bimanualità (nella prensione le vie nervose sono crociate, e quindi la mano sinistra ha a che fare con l’emisfero destro, non verbale e creativo) e le origini del linguaggio, funzione lateralizzata per antonomasia nell’emisfero sinistro. Nel periodo a cavallo tra Harvard e Oxford, Bruner ha studiato lo sviluppo motorio e del linguaggio, nei primi anni di vita in chiave evoluzionistica, andando oltre l’influenza di Chomsky e del nuovo innatismo nella direzione di quella che diventerà la “teoria della mente” in psicologia. Un famoso esperimento(14) pubblicato su Nature evidenzia, nell’età compresa tra due mesi e un anno, la generalizzazione della capacità di seguire la direzione dello sguardo dell’adulto come condotta di attenzione congiunta sull’oggetto terzo, che prelude la condivisione del riferimento semantico. Nella ricerca sull’acquisizione del linguaggio nella relazione madre–bambino(15), Bruner risponde implicitamente alle critiche sulla mancanza di rilevanza ecologica della ricerca sperimentale in psicologia utilizzando una metodologia osservativa all’epoca rivoluzionaria, costituita dalla videoregistrazione in ambiente naturale che può essere siglata da più giudici, assicurando così l’accordo intersoggettivo che conferisce validitàalle evidenze empiriche. Applica inoltre il concetto vygotskijano di zona di sviluppo prossimale, lo spazio tra sviluppo e apprendimento grazie al quale il tutor adulto permette al neofita di progredire fornendogli il sostegno necessario. Viene in tal modo valorizzata la relazione asimmetrica con la madre, che ottenendo la partecipazione del bambino in “formati” comunicativi semplificati, prima ancora che sia in grado di parlare, lo introduce gradualmente nella comunità culturale: la nursery diventa così luogo di acculturazione, oltre che di socializzazione.

La fase recente dell’opera di Bruner, che ha offerto un importante contributo alla ricerca sulla memoria autobiografica e sul pensiero narrativo, si apre con la teorizzazione della dicotomia tra il linguaggio–pensiero paradigmatico, tipico della verità scientifica, e quello narrativo, che segue il criterio della verosimiglianza e presenta le caratteristiche del racconto(16). Nell’importante libro, che è divenuto un classico, La ricerca del significato(17), sidenuncia la crisi della psicologia cognitiva, che l’autore richiama criticamente alla fedeltà alle origini: all’importanza dell’azione intenzionale, del contesto e del significato nel rinnovamento di una psicologia culturale. A partire da questi spunti Bruner ha teorizzato in chiave antropologica la costruzione narrativa del sé nelle diverse culture e la centralità della dimensione discorsiva nei cambiamenti storico–sociali.

Copertina del libro Acts of Meaning

Il professor Bruner

A partire dalla fine degli anni novanta, Bruner ha analizzato il ruolo della narrazione nella tradizione giuridica del writ che egli definisce come un “riassunto di un reato processabile contro ciò che è consueto e consolidato”(18) tipico della Common Law anglosassone, fondata dapprima su leggi non scritte e sviluppatasi attraverso i precedenti delle decisioni giurisprudenziali. Proprio questa ricerca di “continuità nei particolari” piuttosto che di “universalità mediante deduzione da regole giuridiche astratte”(19) ha coinvolto il professor Bruner nel lavoro su questi temi alla New York University. InLa fabbrica delle storie, egli sostiene la tesi secondo la quale il tessuto culturale cambia, tra l’altro, con i modi di raccontare i casi giudiziari, e la letteratura e “la mutata sensibilità narrativa prodotta dalla letteratura” influenzano “il modo in cui gli avvocati narrano i loro raccontigiudiziari ed il modo in cui i giudici li inquadrano in categorie giuridiche”(20).Questo interesse per il diritto viene quindi a combinarsi con l’impegno politicosociale che ha sempre caratterizzato la figura di Bruner, da quando il lavoro perriscattare lo svantaggio socio–economico e culturale lo implicò nel progetto Head Start. È inoltre da ricordare il suo impegno nei casi di desegregazione razziale nella scuola statunitense, fino a giungere alla sua attuale partecipazione al movimento contro la pena di morte.

Così nell’opera di Bruner ha cominciato a realizzarsi “il sogno della psicologia”, che egli stesso celebrava in occasione del conferimento della laurea honoris causa all’Università di Roma auspicando che la nuova possibilità di muoversi “avanti e indietro” fra l’interpretativo e l’esplicativo potesse preludere, per analogia con la caduta del muro di Berlino, al superamento di altre barriere teoriche e metodologiche tra lo studio dell’individuo e quello della sua cultura.

Note

  1. Bruner, J. S. (1996) The culture of education, Harvard University Press, Mass, Cambridge (tr. it. Lacultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola. Feltrinelli, Milano, 1997).
  2. Bruner, J. S. (1983) In search of mind: Essays in autobiography, Harper e Row, New York (tr. it.Autobiografia. Alla ricerca della mente. Armando, Roma, 1984, p. 23).
  3. Ivi, p. 117.
  4. Ivi, p. 43.
  5. Bruner, J. S. e Goodman, C. C. (1947) Value and need as organizing factors in perception, Journalof Abnormal Social Psychology, 42, 33-44.
  6. Bruner, J. S. e Postman, L. (1949) On the perception of incongruity: A paradigm, Journal of Personality,8, 206-223.
  7. Kuhn T. (1962) The structure of scientific revolutions, University of Chicago Press (tr.it. La struttura dellerivoluzioni scientifiche. Come mutano le idee della scienza. Einaudi, Torino, 1969, p. 88).
  8. Ivi, p. 89
  9. Bruner, J. S, Postman L. (1947) Emotional selectivity in perception and reaction, Journal of Personality,16, 69-77.
  10. Erdelyi, M. (1974) A new look at the New Look: Perceptual defense and vigilance, PsychologicalReview, 81, 1-25.
  11. Bruner, J. S., Goodnow, J. J., e Austin, G. A. (1956) A study of thinking, Wiley, New York (tr. it. Ilpensiero. Strategie e categorie. Armando, Roma, 1962, 1973).
  12. Bruner, J. S, Olver R.R., Greenfield P.M. et al. (1966) Studies on cognitive growth, Wiley e Sons, NewYork, London, Sidney (tr. it. Studi sullo sviluppo cognitivo. Armando, Roma, 1968).
  13. Bruner, J. S. (1962) On knowing. Essays for the left hand (tr. it. Il conoscere. Saggi per la mano sinistra.Armando, Roma 1968).
  14. Scaife M. e J. S. Bruner, (1975) The capacity for joint visual attention in the infant, Nature, vol. 53,pp. 265-266.
  15. Bruner, J. S. (1983) Child’s talk: learning to use language, Norton, New York (tr. it. Il linguaggio delbambino. Armando, Roma, 1990).
  16. Bruner, J. S. (1986) Actual minds, possible worlds, Harvard University Press, Mass, Cambridge (tr. it.La mente a più dimensioni. Laterza, Torino, 1988).
  17. Bruner, J. S. (1990) Acts of meaning, Harvard University Press, Mass, Cambridge (tr. it. La ricerca delsignificato. Per una psicologia culturale. Bollati Boringhieri, 1992).
  18. Bruner, J. S. (2002) Making stories: law, literature, life, Farrar, Strauss and Giroux, New York (tr. it.La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita. Laterza, Roma-Bari, 2002. p. 64).
  19. Ivi, p. 55.
  20. Ivi, p. 58. p. 117.

Elena Calamari
docente di Psicologia generale
calamari@fls.unipi.it

Susanna Giusti
s.giusti@adm.unipi.it